Il palmento

“La porta del palmento è spalancata; i pigiatori indossano i loro corti calzoncini, calzano i loro scarponi massicci ancora zuppi e arrossati dal mosto di ieri.
I vendemmiatori rovesciano fra le le loro gambe i panieri e le ceste d’uva che precipita sull’impiantito massiccio e ruvido pavimentato a lastroni di lava come una strada e manda un leggero odore di tralci e di foglie stroncati.
I pigiatori vi cominciano a ballare sopra allegramente, a grandi pestate tenendo i pollici infilati sotto le ascelle alle maniche del panciotto, e cantano.
A mano a mano che i grappoli si vanno frantumando sotto gli scarponi si leva intorno un odore netto e vivo di mosto. Dalle finestre spalancate sulla vigna entrano moscerini e calabroni ad ali spiegate nell’aria mattutina…..
(tratto da Mario Soldati, “Vino al vino”)

Quasi tutti i vigneti di proprietà sull’Etna disponevano di una costruzione rurale comprendente l’abitazione per la famiglia del proprietario e, immancabilmente, del palmento (“u parmentu”), per la trasformazione dell’uva prodotta.

A tempo di vendemmia i “vinnignaturi” provvedevano alla raccolta dell’uva che, trasportata a spalla dai “caricaturi” all’interno di ceste giungeva sino al palmento ove, attraverso una finestra, veniva scaricata nella pista: larga e bassa vasca in pietra lavica, dove si trovavano alcuni operai (“pistaturi”) che la pestavano a piedi nudi o dopo aver calzato pesanti scarponi.

Attraverso stretti canali in pietra lavica (“cannedda”) il mosto defluiva in un’altra vasca sottostante, detta “ricivituri”, costruita con lastroni di pietra lavica, in cui avveniva la prima fermentazione a contatto con le bucce ed i raspi che durava, a seconda del tipo di vino e della zona, da un minimo di 24 ore ad un massimo di 3-4 giorni.

 

Con la svinatura, dal ricivitùri, sempre attraverso un circuito di canali in pietra, il mosto in fermentazione veniva fatto defluire nella tina, che raccoglieva anche quello ottenuto dal trattamento delle le vinacce pressate con il torchio, “u conzu”.

Dalla tina infine il mosto veniva prelevato con la quartata e insaccato negli otri per essere trasportato al domicilio del proprietario e travasato nelle botti di castagno opportunamente preparate.

Il Palmento Brancato, edificato nei primi del ‘900 da Salvatore Brancato, “Turi Fumu”, che aveva trasportato ogni singolo blocco di pietra lavica, dalla cava al nuovo vigneto, a dorso della sua “mula”, è rimasto in funzione fino agli anni settanta ed è stato al servizio anche degli altri proprietari della zona. Era una sorta di palmento “sociale” anche se ogni “partita” veniva rigorosamente distinta dalle altre durante tutte le fasi della lavorazione.

Ha pianta rettangolare, dispone di due ampie finestre, “buttatoi”, di tre piste (due grandi e una piccola centrale) sei “ricivituri” e quattro tini. Al centro un grande torchio in ferro infisso sul pavimento di tipo “moderno” per l’epoca.

La struttura è ancora integra, tutte le parti sono ben conservate, ma risulta al momento inutilizzabile a seguito dell’introduzione di rigide norme igienico sanitarie estremamente complicate da rispettare.